mercoledì 19 ottobre 2022

Codogno

Giunge al numero 61, un traguardo invidiabile, Kamen’, la “rivista di poesia e filosofia” diretta da Amedeo Anelli. Nella consueta ed elegante composizione, e senza pubblicità (applausi all’infinito), Kamen’ propone un menù particolarmente ricco suddiviso nell’ordine delle sezioni filosofia, poesia e critica. Si comincia con un’ampia e dettagliata panoramica dedicata a Ludovico Geymonat, come scrive Fabio Minazzi “il padre riconosciuto della filosofia della scienza in Italia” e, non solo, “una straordinaria personalità intellettuale e civile che ha svolto una sua precisa azione in molti altri ambiti e settori della società e della storia italiana”. Il ritratto biografico e critico introduce e incornicia il saggio dello stesso Geymonat, Per un nuovo insegnamento della filosofia che merita di essere riscoperto, almeno quando scrive che “la sola autentica carenza della nostra epoca, carenza grave, purtroppo, sta nel non aver saputo elaborare una filosofia adeguata alla civiltà della scienza e della tecnica, e quindi di mantenere in vita (o per lo meno fingere di mantenere in vita) credenze teologiche o dottrine metafisiche, le quali hanno ormai perso da tempo ogni collegamento con gran parte delle concezioni particolari unanimemente accolte dal nostro secolo”. Con un salto nel tempo, Kamen’ porta a riscoprire la figura poetica di Carlo Innocenzi Frugoni, uno squarcio antologico con un ricco saggio di Guido Conti che si conclude con questo ritratto del poeta: “Non tutto è morto in questo scrittore: tra le pietre e le rovine del tempo c’è ancora una parte dell’opera che diverte, ne racconta giocosamente la vita di letterato di corte, specchio deformato e insieme anche veritiero di un mondo che la rivoluzione francese e il romanticismo spazzeranno via”. Lo spazio per la critica è infine riservato a Silvio Guarneri, con una riflessione sulle Indicazioni per il premio Nobel che, per quanto risalga al 1957, contiene elementi che rimangono ancora molto attuali e pertinenti, per esempio quando dice: “Ora da tempo la nostra critica avrebbe dovuto avere questo coraggio, esplicito e perentorio, di indicazione. E questo coraggio per essa significherebbe proprio la rinuncia ai luoghi comuni, ai nostri più consueti luoghi comuni, la rinuncia alla vecchia, vecchia di cent’anni, retorica italiana dello scrittore rappresentativo. Perché infine quella convinzione, quella definizione della rappresentatività erano ben convenzionali, si affidavano a valori spuri e a principi spuri, consideravano insomma il valore di uno scrittore da un punto di vista ben esteriore, quasi con timidezza in lui cercando qualcosa di definitivo, di profondo, ed accontentandosi di quell’equivoco incontro con un pubblico che era il più superficiale ed il più distratto che si potesse esigere”. Per acquisti, abbonamenti e ulteriori informazioni: info@libreriaticinumeditore.it

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